Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il sorbetto della regina, Milano, Treves, 1890.djvu/225

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— Io vorrei con tutto il cuore, signorina, darvi una risposta precisa a ciò che domandate; ma in verità non ne so nulla. Bruto è cangiato. Egli soffre certamente di qualche cosa che rassomiglia ad un cordoglio, ad un rimorso, ad una disperazione, qualche cosa di fatale insomma. Ma che è mai? Io l’ignoro. E’ mi ha detto nulla. Quando l’ho interrogato, ha evitato di rispondermi.

— Ma avete mai sospettato che codesta tristezza potesse essere un amore contrariato?

— Per taluni indizi, oggi sì; domani no, per altri indizi contrari.

— Farei bene a parlargli io stessa di tutto codesto?

— No. Non ancora, almeno. Lasciatemi scandagliarlo. Ho un sospetto. È mestieri che io lo chiarisca.

— Ascoltatemi, don Gabriele, perocchè occorre che voi mi conosciate altresì. Se ho il gorgheggio dell’usignuolo, come mi dicono, e le apparenze d’una colomba — ciò che non ammetto — io ho pure gli artigli dell’aquila ed il rostro ricurvo come il pugnale dei sultani di Granata. Se Bruto ha un’agonia di amore in cui si delizia, che Dio gli venga in aiuto. Non sarò certo io che andrò a turbarlo con un intervento mal abile. Ma se egli soccombe sotto codesto dolore! Oh!.... allora, per liberarnelo, oserò tutto, perfino il delitto. Procurate, dunque, di sapere e siate pronto ad aiutarmi quando l’ora sarà suonata.

— Voi avete la tempra di qualcuno che sa tenere un secreto, rispose don Gabriele. Fino a