Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il sorbetto della regina, Milano, Treves, 1890.djvu/297

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orribile quartiere di Napoli. Una carrozza partiva di quivi l’indomani per Cosenza e io doveva partire con essa, sentendo che l’aria di Napoli mi bruciava. A un’ora del mattino fui svegliato da un strepito alla mia porta. Aprii gli occhi. Il chiaro di una lanterna sorda mi acciecò. Non distinguevo bene cosa vi fosse dietro la parte scura di quella lanterna che proiettava i suoi raggi su me. Ma uno strepito di armi mi rivelò l’accidente; mi alzai di un balzo. Quattro gendarmi e una dozzina di birri si gettarono sopra me, mi stramazzarono, mi legarono, ed... eccomi qua.

— L’identità del cadavere era stata, dunque, accertata?

— Non ne so nulla. Ma codesta memoria mi attrista.

— Sono le due e mezzo del mattino. Ancora un bicchiere di punch e.... buona notte.

Tutti bevettero e se ne andarono. Il conte si avvicinò allora al colonnello, che non aveva aperto bocca dal suo pagliericcio, e gli domandò:

— Colonnello, avete udita la mia storia?

— Qualche frammento.

— E che ne dite?

— Trovo la storia singolare; ma trovo più singolare ancora che l’abbiate raccontata a codesta bordaglia, che domani la ripeterà a tutta Napoli.

— Hum! colonnello, perchè portate voi codesto uniforme di sergente, che il governo dei Borboni ha voluto solo permettervi?