Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il sorbetto della regina, Milano, Treves, 1890.djvu/54

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— Ebbene, mamma! domandò questa con ansietà.

— Nulla, rispose una voce dall’interno.

— Come nulla? replica la ragazza disfacendo l’involto.

— Nulla, nulla! che Dio la castighi, quella pettegola che non ha viscere di cristiano! sclamò la voce.

— Ma insomma, perchè mi riporti questa biancheria?

— Perchè? perchè quella beghina mi ha detto, gettandomela dietro, che i Riut Lamada sono conti e che tu hai ricamato su queste pezzuole e su queste camicie una corona di barone. Hai capito ora?

— Ma il modello?

— Oh! il modello? ebbene il modello era di una pezzuola data dalla Regina. Ora, i Riut Lamada, mi ha detto la cameriera, sono baroni alla corte e conti in città. Ecco un nuovo modello. Bisogna ricominciar da capo.

— E non ti hanno pagata?

— Pagato? Che Dio mandi loro la miseria. Ho dovuto supplicare piangendo per ottenere ancora del lavoro. E tu devi scucire, poi ricamare di nuovo una corona come quella che vedi su questo pezzo di carta. Capisci?

— Ed intanto?...

— Ah! hai fame? bene, roditi i gomiti. Intanto... chiedi?... Sì sì, tu credi che quella gente comprenda che vi sono dei poveri che hanno fame! Ma i loro gatti, i loro cani stessi non mangiano più pane. Quelle bestie aristocratiche non conoscono la fame. E vi sarebbero due