Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il sorbetto della regina, Milano, Treves, 1890.djvu/55

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povere donne che da trentasei ore non hanno mangiato che due soldi di pane? Baie! non è possibile, non è verisimile: la è un’impostura da mendicanti! E crepa. E, sopratutto, lavora. Hanno fretta.

— Oh! non è tanto per me, mamma, disse la fanciulla con voce commossa. Io non ho fame; non ci penso; vedi, io canto la Linda, la Sonnambula, ma... e tu?

— No, no, per la Vergine Santa, non la può continuare così. Lascia stare, una volta per tutte, gli scrupoli, i capricci, le ubbie che ti passano pel capo.

— Ma a che proposito mi dici queste cose, mamma?

— A proposito di che? Vediamo, Lena, finiamola. Questa vita di miserie non può durare. Finchè ho potuto darti di che vivere, nulla mi ha fatto indietreggiare, nè mi ha fatto paura. Ho fatto perfino la serva. Ora ho quarant’anni. Non sono più buona a nulla, coi miei sudici stracci, di cui non vorrebbe neppure il cenciaiuolo.... Pure non era attagliata per servire, io. Sta bene. Tocca a te ora a darmi da vivere. Hai diciott’anni.

— Ma, mamma, io non domando di meglio che di lavorare; di giorno, di notte, a tutte le ore, farò tutto.

— Sciocchezze! Il lavoro è il padre della fame, l’avo della miseria. Dio non ha creato la bellezza per lavorare, come non ha creato il fiore per farne la zuppa. La signora Terenzia Brocchi, che ho conosciuta ganza d’un calzolaio, è ora presidentessa e non mi conosce più.