Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il sorbetto della regina, Milano, Treves, 1890.djvu/56

Da Wikisource.

La signora Emilia Salvi, che nel 1824 era la moglie d’un tintore, ora gode la pensione di vedova d’un sotto-intendente. Io sola, la più bella, la più invidiata, sono caduta, e di caduta in caduta, mi sono sprofondata ove siamo ora. Aver fame, non è niente; aver freddo, non è nulla ancora; esser battuta, gettata in un canto come un rifiuto, non è nulla; domandar la carità, non è nulla ancora, nulla, nulla....

— Mamma!

— Non è nulla, ti dico: l’abitudine raddolcisce tutte le asprezze; si respira nel cielo come l’aquila, o nelle fogne come i sorci. Ma ciò che è implacabile gli è il ricordarsi d’esser stata bella, felice, rispettata come una Madonna, comprendere il bello, il buono, la virtù, l’onore, il lusso, l’amore e sapere che tutto questo è irrevocabilmente perduto. Oh! se avessi sedici anni!

— Ne ho diciotto, mamma, disse la ragazza, e soffro, mi rassegno e canto. Fa altrettanto anche tu.

— No, per Dio, no, Lena, ascoltami bene. Io ti aveva messa sulla via della fortuna e tu hai indietreggiato.

— Quale, mamma?

— Il teatro....

— Ah! corista a San Carlo.

— Corista a San Carlo non diventa chi vuole. Ma credi forse che io ti avessi cacciata colà per esser corista, per vederti questa sera duchessa, domani contadina, dopo domani strega, un altro giorno raggio di luna, ciabatta, ruggito di leone, coda di cavallo e che so io? Scioc-