Pagina:Petruccelli Della Gattina - Le notti degli emigrati a Londra, Milano, Treves, 1872.djvu/152

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io doveva traversare prima di annientarmi nella morte. Egli non temeva che io mi disonorassi con una confessione estorta dal dolore: sapeva che io mi sarei mozzata la lingua co’ miei denti, e l’avrei inghiottita piuttosto che parlare; ma egli avrebbe voluto raddolcire la mia via crucis, e presentare dinanzi ai miei occhi quell’estasi che nascondeva ai martiri il supplizio. Implorò dal granduca che mia madre potesse visitarmi. Il granduca aveva accordato allora tale permesso alla madre del mio compagno di carcere; e consentì. L’ispettore aveva dunque accompagnata la madre di Zoliwski, quando, sul cader della notte, accompagnò ed introdusse anche la mia nella muda.

Io mi era fatto più piccino che avevo potuto, e mi ero rannicchiato in un angolo della secreta, per non turbare il mistero sacro del colloquio, forse l’ultimo, del mio compagno con sua madre. Avrei voluto convincerli che io era cieco e sordo, per non isgomentare il loro dolore, per non soffocare i loro lamenti, — i lamenti sono di rado eroici — , per lasciare ogni libertà alle loro confidenze, all’effusione delle loro anime. Fui spaventato del dolore infinito di quei due esseri, dolore che non ebbe neppure un grido! La madre cadde in ginocchio presso il corpo del suo figliuolo, le loro bocche si avvicinarono, le loro lagrime si confusero. Non dissero una parola. Che cosa avevano a dirsi, del resto? La madre sapeva che il figlio doveva in breve morire sotto le verghe, in una spaventevole agonia; il figlio sapeva che la madre non gli sopravviverebbe. Mia madre arrivò.

Mia madre era donna d’altra tempra. Ella aveva il carattere forte, ma drammatico. Sarebbe