Pagina:Petruccelli Della Gattina - Le notti degli emigrati a Londra, Milano, Treves, 1872.djvu/158

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Niccolò. Io non sapeva più che dire. Io non trovava più una sola ragione seria. — Mia madre tremava come una foglia, ma era intenerita. La madre di Zoliwski si gettò di nuovo ai suoi piedi, e pianse, supplicò.... Mia madre cedette. Volse il capo, nascose il suo viso nel mio seno, allungò la mano, abbandonò la capsula, e compì l’omicidio. La madre di Zoliwski gettò un grido di gioia selvaggia, baciò la mano di mia madre, e si precipitò sul suo figlio.

Si fece silenzio. I nostri cuori non battevano più. I nostri petti non respiravano. Tutto ad un tratto l’abaino della segreta si rischiarò. Udimmo dei passi nel corritoio, poi il rumore dei fucili, poi lo stridere delle chiavi. L’ispettore delle prigioni entrò. L’ora del colloquio era scorsa, egli veniva per far escire le due signore. — La cellula era rischiarata dalla lucerna del carceriere. Ci volgemmo verso il gruppo delle due creature, che avevamo fulminate. La madre ed il figlio si tenevano allacciati nelle braccia l’uno dell’altra, bocca a bocca, cuore su cuore. L’ispettore li scorse, e non ricevette risposta... Dio nella sua misericordia infinita avrà perdonato a mia madre! Fu un grido di terrore, che scappò da tutte le bocche.

Tre giorni dopo, io partiva per la Siberia, «la terra dalla quale non si ritorna più!»

La Commissione dei calligrafi avendo constatata la verità del mio racconto, mio fratello aveva ottenuto dal granduca Costantino la commutazione della pena di morte, pronunziata dal Consiglio di guerra, in quella della deportazione a perpetuità e cinque anni di lavori forzati in Siberia.