Pagina:Petruccelli Della Gattina - Le notti degli emigrati a Londra, Milano, Treves, 1872.djvu/224

Da Wikisource.

non so per quale presentimento, acceleravano la corsa. Gli stivaletti, che Metek aveva fatti loro, si erano lacerati, e noi scorgemmo sulla neve la traccia rossa del sangue dei loro piedi. Gli era appunto questo sangue che allettava i lupi e li incocciava ad inseguirci. Essi meditavano un attentato, o si rassegnavano ad aspettare una catastrofe.

La banda dei lupi prendeva, frattanto, proporzioni terribili. Metek diveniva livido. Il crepuscolo si ottenebrava. Le renne volavano, saltando sugli ostacoli, di cui il letto della Moma era gremito: quarti di macigni, alberi, banchi di ghiaccio sovrapposti, formanti torri, barricate, bastioni. Noi ci trascinavamo dietro un corteggio di almeno dugento lupi. Riempivano il letto del fiume, marciando parecchi di fronte, e permettendosi oramai di tempo in tempo un ululato, cui l’eco ripercuoteva e moltiplicava. Era un appello. Suonavano la carica. Bande dietro bande dalla foresta accorrevano: le volpi dietro i lupi; i corvi sull’insieme.

Noi percorrevamo per lo meno quattordici verste all’ora.

Infine raggiungemmo la gola dei due monti, ove la Moma attinge la sua sorgente. A un tratto le nostre renne caddero al suolo: esse non potevano andar più oltre.

E’ fu come se un generale avesse gittato il grido: All’assalto!

Metek, io, Cesara stessa, armata di revolver, ci schierammo intorno alla slitta.

I primi lupi, che avanzarono, furono fulminati. Noi tiravamo nel mucchio: non un colpo era perduto. Una montagna di cadaveri ci fece presto una barri-