Pagina:Petruccelli Della Gattina - Le notti degli emigrati a Londra, Milano, Treves, 1872.djvu/24

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ordini di suo marito. Il colonnello non era riuscito a slegarsi. Ma la corda penetrava nella carne ai polsi e martorizzava terribilmente le cavicchie. Sembrava talmente esausto, che udendo avvicinarsi mia madre, diede solo un debole gemito. Mia madre temette per un momento ch’egli non rendesse l’ultimo sospiro. Poggiò il lume sopra l’ultimo gradino della scala, andò verso quell’uomo, accovacciato dietro un barile. Aveva la brocca ed il tozzo nelle mani. Glieli mostrò, e gli disse:

— Mangiate e bevete.

Stese le due mani nell’istesso tempo, lasciandogli la scelta di mangiare innanzi di bere, o di bere innanzi di mangiare. La testa del colonnello era spinta indietro, livida, quasi nera, il collo torto, le vene gonfie come due gomene; gli occhi suoi parevano due macchie di sangue; la bocca, pure insanguinata, restava aperta. La corda, che gli passava attorno al collo, avanti di legare i piedi e le mani, aveva roso la cravatta e intaccato la carne. La respirazione sembrava soffocata. Mia madre n’ebbe pietà. Essa prendeva nella sua tasca un piccolo coltello per recidere quella corda, allorchè senti afferrare la sua mano. Due terribili file di denti l’azzannarono, la serrarono, frangendola fino alle ossa nella loro morsicatura. Mia madre gettò un grido. Il colonnello la spinse, rotolando sui suoi piedi con tutto il peso del suo corpo, e la rovesciò. La povera donna era debole, essendo ammalata ed incinta. Il colonnello strisciò sopra di essa, e raggiunse il suo viso, ove la morse orribilmente. Le grida avrebbero scosso la casa e risvegliato i morti. In quel momento una testa apparve all’apertura della botola. Era mio zio, mandato da noi.