Pagina:Petruccelli Della Gattina - Le notti degli emigrati a Londra, Milano, Treves, 1872.djvu/354

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— Come, capitano, borbottò il sergente, diventando orribilmente livido, il marchese.... dunque....

— Ebbene, sì, sissignore. Il ministro Bozzelli si è levato di buon umore e di buon’ora stamane, e ci fa segnalare di spedire il prigioniero al generale Busacca, a Cosenza. Comprendi, adesso? Otto uomini ed un sergente.... in mezzo di una piazza... portate, arma! caricate, arma! arma, fuoco! Al diavolo i rivoluzionari. Viva il re, nostro adorato padrone!

Io non saprei descrivervi il grido di disperazione gettato dal capitano, quando apprese che io me l’era dato a gambe. Una montagna si abbatteva sul suo capo e lo schiacciava. Immediatamente, gendarmi e guardie civiche sono sotto le armi, la chiamata batte, la campana a martello dà rintocchi, il popolo.... per fortuna, il popolo era ai campi. Immediatamente la casa ove io era è circondata. Io doveva esserci ancora, perchè un’ora non era per anco passata che io aveva lasciato il corpo di guardia.

La prima persona che il capitano incontrò all’uscio della casa, fu mio zio.

Il vecchio prete era l’uomo il più litighino della provincia. Egli sapeva i suoi codici a menadito, e lo si temeva come il colera. Egli si era minato a far processi; ma ciò malgrado, quando non ne aveva dei suoi, egli prendeva a patrocinare quelli di altrui — le cause obliate, abbandonate come impossibili.

Trovandosi d’incontro a quest’uomo, il capitano esitò.

— Ah! mio vecchio amico, sclamò mio zio con una voce tutto mele: come Dio vi manda a proposito! Come va la salute? ed i vostri piccoli? ed i bachi da seta? Fatemi dunque aprir questa porta. Io spasimo di abbracciar mio nipote.