Pagina:Petruccelli Della Gattina - Le notti degli emigrati a Londra, Milano, Treves, 1872.djvu/366

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un gruppo di bruchi. Feci parecchie fiate il giro del vecchio tronco d’albero sotto il quale ero assiso. Ed ascoltavo sempre! ascoltavo! Ma nulla, ma assolutamente nulla! Non un soffio. Il canto degli uccelli, il fruscio delle ali degl’insetti, il leggiero strepito delle foglie sotto la respirazione della brezza, tutto si andava tacendo, poco a poco, l’un dietro l’altro. La notte spiegava le sue vele. Ed il mio cuore batteva a spezzare le costole. Infine mi slanciai di un balzo sulla strada, come una tigre che si precipita sur una preda, senza saper perchè, nè che mi facessi. Erano le sette. Vidi allora un uomo, un pescatore. Per un movimento istintivo, rinculai di un passo. La vista dell’uomo mi richiamava al pudore della dignità. Quell’uomo mi vide anch’egli e venne a me.

— Brav’uomo, gli dissi, non potendolo evitare, mi sono smarrito nel mettermi sulla via di Lauria. Vuoi accompagnarmi? Ti pagherò la tua giornata.

Il contadino sorrise. Si guardò con precauzione intorno, poi mise l’indice sulle labbra.

— Zitto! io vi conosco. Io era a Campotenese con voi. Non abbiate paura. Che volete?

— Ebbene, amico mio, sì. E poichè tu mi conosci, salvami. Conducimi in casa mia, e ti si darà di che vivere per due anni.

— Non posso, signore. Ho in casa mia moglie che l’è ridotta al pan di frumento (all’agonia). Il curioso (il confessore) è al suo capezzale. Che si direbbe se la lasciassi? Non potrei più rimaritarmi: alcuna donna non vorria più di me.

— Ma almeno..... ma questo.... ma quello....

Tutto che gli dissi, fu inutile. Nulla lo toccò, nulla lo tentò, nulla riscosse quell’uomo. E’ si limitò a