Pagina:Petruccelli della Gattina - I suicidi di Parigi, Milano, Sonzogno, 1876.djvu/148

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di udirmi... Io l’ò amata... io l’amo... Le ò offerto la libertà, la ricchezza... Le ò detto di fuggirmi, di andar a vivere ove ella volesse, dove la vita potesse essere per lei un cielo stallato di gioie... Ella à voluto restare.

— Ed è questo il suo delitto? obbiettò Alessandro. Ella à fatto il suo dovere.

— Ella à voluto restare, ma la cortina di velluto della sua camera è per me più intraversabile che il mare dei poli. Essa ci separa, come un cratere, dall’ora prima. Maud à voluto restare, ma come uno scherno, come una provocazione, come un rimorso, come un rimprovero, come una vendetta, come un supplizio. Ella à voluto restare per scavare a questo dannato un inferno più profondo dell’inferno — gridò il principe, alzandosi. Voi avete spaventata la mia agonia col rumor dei vostri baci... Ed io rivivo per punire.

Egli aspettava forse una risposta, poichè si fermò, essendo tremante per tutte le membra.

Il conte Alessandro, pallido come un chiaro di luna, si tacque.

Il principe riprese, di voce solenne:

— Io ti fo giudice adesso. Se io sono colpevole verso quella donna, vendicala ed uccidimi. Se non lo sono, tu mi oltraggiasti. Ti aspetto dunque domani, qui. L’uno di noi debbe restarvi.

E terminando queste parole, il principe Pietro di Lavandall snodò la briglia del suo cavallo, lo montò e partì al galoppo.

Il conte Alessandro rimase per qualche istante immerso nella più profonda preoccupazione, poi si allontanò.


Il principe Pietro aveva tutto preparato per lo scioglimento di questo lugubre dramma.

Maud partirebbe l’indomani, a mezzodì, precedendolo sempre di una tappa. La sua cameriera ed il suo intendente inglese l’accompagnerebbero. Ivan resterebbe presso di lei, fino a che il principe non li avesse raggiunti al villaggio d’Imazoff, a quattro leghe dal castello.

— Ivan — gli disse il principe — con te io non ò, fortunatamente, bisogno di parafrasi per spiegarmi, nè di