Pagina:Petruccelli della Gattina - I suicidi di Parigi, Milano, Sonzogno, 1876.djvu/173

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Alle 7, erano alla porta del dottore di Nubo.

Alle 8, alla Porta Maillot.

Una carrozza, dalla livrea e dalle armi dal conte Alessandro, li aspettava.

— À sete del mio sangue! — mormorò il principe — mi à preceduto.

La vettura si fermò.

Un uomo vestito di nero uscì allora dal coupé del conte Alessandro e venne ad Ivan, il quale era disceso subito dalla predella del cocchiere.

L’uomo a nero mostrò una lettera, ed insieme si presentarono al principe per rimettergliela.

Il principe era profondamente assorto e tristissimo.

Cadeva una acqueruggiola fina, penetrante, fredda, che rendeva il tempo scuro, il cielo insipido. Gli alberi avevan perduto il loro manto e mostravano le loro ossa nere, che tremolavano sotto la fredda brezza. Il luogo era solitario. Tutto ciò stingeva sul carattere di già sì malinconico del principe di Lavandall, e l’affettava.

E’ prese la lettera senza guardarla, meccanicamente. Il suo spirito vagava altrove.

L’impressione del freddo, che gli occasionava lo sportello aperto del coupè, lo richiamò alla realtà. Egli avvicinò allora la lettera ai suoi occhi e fece un movimento di sorpresa.

— Chiudi dunque codesto sportello, — gridò egli ad Ivan, tirandolo nel tempo stesso a sè con violenza.

Poi, e’ si volse al dottore e soggiunse:

— Cosa è codesto? Egli scrive adesso? E’ non è dunque qui.

— È il conte Alessandro che scrive? — dimandò il dottore.

— Egli stesso — rispose il principe, spiegando la lettera e guardandola anco prima di leggerla.

Infine egli lesse a mezza voce, come avrebbe fatto se fosse stato solo:

"Fratello....

— Fratello! — gridò il principe — fratello ancora...!

«Io era sul punto di partire e di rendermi al tuo appello. Ò avuto paura... Ò avuto paura che quando tu mi avessi ucciso, e che tu avessi poscia saputo la verità, ne saresti stato sventurato per tutta la vita.»