Pagina:Petruccelli della Gattina - I suicidi di Parigi, Milano, Sonzogno, 1876.djvu/239

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— L’è vero.

— E poi, credi tu, caro, che i più spiritosi dei nostri poeti, Victor Hugo, Musset, Dumas, che so io, Balzac, egli stesso, potrebbero dirmi altra cosa che me ne dicono il mio specchio od i miei fiori? L’uno mi piaggia così compiacentemente; gli altri m’incantano. Se tu sapessi come cantano quei piccoli birboncelli lì, quando mi veggono zonzar per la stufa!

Tre o quattro giorni dopo il colloquio del principe di Tebe con il principe di Lavandall, a colazione, il duca le disse:

— A proposito, sai tu, piccina mia, chi ò intraveduto ieri sera?

— No.

— Tuo cugino, il conte d’Alleux.

— Povero Adriano! deve essere ben triste dopo la morte di sua madre.

— In fede mia, mica troppo!

— Oh sì! egli l’amava tanto!

— È possibile. Ciò però non impedisce che io lo abbia veduto per qualche minuto in un palco ai Français contar fronzoli ad una giovane bellezza, quasi sola.

— Come! una prefazione di abate nel palco di una bella ai Français?

— Gli è che e’ non è più l’abate cui vedemmo piangere ai funerali di sua madre, nei mesi scorsi. La larva è scoppiata, ed à sprigionato uno zerbino dei più graziosi e dei più eleganti. O’ pensato un istante d’ingannarmi. Ma egli mi à salutato della testa, sbirciandomi. Era ben desso.

— E’ non sarà dunque più vescovo, allora?

La conversazione fu interrotta dall’arrivo di una lettera. Il duca la prese, dimandò a sua moglie il permesso di aprirla e lesse:

«Caro duca,

«Devo presentare nel mondo una mia giovane parente di una eclatante bellezza. Ora, come voi siete il lion dei nostri lioncini parigini della moda, vi dimando quale giorno sarete libero per venire al mio ballo, onde io lo assegni, e lo indichi in seguito agli ambasciatori di Russia, di Spagna e di Turchia, ed ai nostri signori del Faubourg. Fatemi la grazia di una parola di risposta, ecc., ecc...

«Augusta Thibault.»