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volta il dottore di Nubo, e gl’impediva di far un segno, un gesto, un moto che potesse salvare il suo complice, o piuttosto la sua vittima.
Imperciocchè era desso che aveva consigliato quell’infamia al duca di Balbek, e Tob, che aveva visto costui preparare la carte, aveva poscia dato l’allarme.
Il principe di Storkine andava a procedere alla verifica delle carte, quando il duca, ritrovando infine la parola, balbutì di una voce estinta:
— L’è inutile, signori. Che mi volete voi?
— Come! — gridò il conte di Kormoff.
Il principe di Lavandall s’interpose, interrompendolo, e disse:
— Adagio. Il più insultato qui, sono io. Mi occorre una riparazione eclatante. Scegliete, signore, — aggiunse egli, indirizzandosi a Balbek con piglio altero: O io apro questa porta e convoco tutti qui, per constatare che l’ambasciatore di Commodo V ruba al giuoco, o fo chiamare la polizia e vi consegno alla giustizia; o voi andrete a scrivere qui — e noi la firmeremo tutti — una dichiarazione, che voi avete rubato al giuoco in casa mia.
Un momento di silenzio seguì questa sentenza omicida.
Tutti gli sguardi s’inchiodarono sul viso cadaverico del disgraziato, cui i due pugni di ferro dei signori Russi tenevano ribadito sulla sua sedia.
E’ disse, in fine, di una voce cavernosa:
— Se scrivo, che uso farete della mia dichiarazione?
— La conserverò, per restituirvela forse, quando sarete corretto.
E dicendo ciò, il principe metteva innanzi al duca un foglio di carta ed un calamaio; ed i due Russi lasciavano le sue mani libere.
Il duca conservò ancora il silenzio per qualche istante, poi ghermì una penna e di una voce ferma sclamò:
— Dettate.
— Vi è là una pistola, signore, se preferite bruciarvi le cervella nel giardino, innanzi a noi.
— Dettate dunque! — gridò il duca con collera.
Lavandall dettò, Balbek scrisse:
«Io dichiaro, in presenza dei sottoscritti, di aver rubato al giuoco in casa del principe di Lavandall, oggi,» ecc., ecc.