Pagina:Petruccelli della Gattina - I suicidi di Parigi, Milano, Sonzogno, 1876.djvu/305

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— Firmate.

— L’è fatto.

— Firmiamo a nostra volta.

Tutti firmarono.

Lavandall prese la scritta ed uscì con i suoi amici.

Il dottore restò, impiedi, all’altra estremità della tavola, silenzioso, freddo, calmo, increspando quasi il suo sembiante di una smorfia che somigliava ad un sorriso.

Il duca pareva inchiodato alla sua sedia, gli occhi devaricati, accoccati a quella somma di 50 o 60 mila franchi innanzi a lui, senza vederla.

Di botto poi, come se si svegliasse di soprassalto, ei balzò in piedi, e volle fuggire, senza toccar nulla.

— E Morella! — sclamò il dottore.

Ciò fu come una parola magica. Il duca si precipitò sul danaro, lo tuffò nelle sue tasche e fuggì correndo.

Egli errò tutta la notte, a piedi, nelle strade di Parigi. Alle otto del mattino, si trovò innanzi l’uscio di Morella.

Il duca portava la mano al bottone del campanello, quando il dottore di Nubo, uscendo dalla carrozza, gli si avvicinò e gli disse:

— Entriamo.


XIII.

Una fine di capitolo, cui le signorine... leggeranno di soppiatto.

Il dì dopo, a mezzogiorno, il conte di Nubo si presentò al palazzo di Lavandall, e parlò a lungo col principe.

Uscendo di là, il dottore se ne andò di galoppo dall’agente di cambio.

Il principe si presentò al palazzo del duca di Balbek, e prese motto della duchessa.

Il fine del principe era restato lo stesso; ma aveva cangiato il piano di attacco.