Pagina:Petruccelli della Gattina - I suicidi di Parigi, Milano, Sonzogno, 1876.djvu/56

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— Ne conosco che ne ànno cinquecento mila.

— Codesto è un sospiro di vedova... passiamo ancora.

— Vi auguro il buon giorno, signora contessa Sergio di Linsac.

— Quando verrete voi a pranzo da me — a pique-nique, bene inteso!

— Non ne so nulla. Non ne ò il tempo. Gl’inviti mi soffocano.

— Mettetevi al regime omiopatico.

— Io sono allopatico, carina — e non appostato — quantunque ciò sia alla moda. A proposito, se incontrate per avventura la gitanella in questione, ditele, che vi è per lei da Delille una veste e certi pizzi. Che vada a reclamarli. Inoltre, ditele che io vado al ballo dell’ambasciata d’Austria il 10 corrente, e che quella sera lì, io resterò in casa fino alle 11 pomeridiane, aspettando una vettura che venga a prendermi.

— Voi volete dunque pervertirla? — sclamò Regina, baciando il dottore sulla fronte. Io non porto mica di tali messaggi. Addio. O’ fame, e vado ad asciolvere in casa mia.

— A vostro comodo, signora Alberto Dehal... ah! scusa! signora contessa di Linsac.

Regina fece un segno di minaccia col suo dito, scintillando di un sorriso che illuminò la camera.

Il dottore la vide partire ed un ghigno spaventevole si stemperò sul suo sembiante. Poi prese un foglietto e scrisse:

«Trovata. Al ballo dell’ambasciata d’Austria.»

Piegò quindi la lettera e vi mise l’indirizzo: «Al signor principe di Lavandall. Rue d’Amsterdam, n. 97.»

Si vestì ed uscì.


IX.

Eva ritorna all’Eden.

— Vittoria su tutta la linea, mio caro! — gridò Regina, rientrando e saltando al collo di suo marito.

— Che dunque? — sclamò costui.

— Lo zio à piegato. L’ò portato via di assalto.

— Ed e’ à lasciato fare?