Pagina:Piccolo Mondo Antico (Fogazzaro).djvu/169

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la sonata del chiaro di luna, ecc. 165

forbici, con una tranquilla rapidità prodigiosa, per suo marito, per la sua bambina, per ornar la sua casa, per i poveri e per sè. Tutte le stanze avevan lavori suoi, cortine, tappeti, cuscini, cestini, paralumi. Era pure affar suo di collocare i fiori in sala e in loggia; non piante in vaso perchè Franco ne aveva poche e non gli garbava di chiuderle nelle stanze; non fiori del giardinetto perchè coglierne uno era come strapparglielo dal cuore. Erano invece a disposizione di Luisa le dalie, le rose, i gladioli, gli astri dell’orto. Ma poichè non le bastavano e poichè il villaggio, dopo Dio, S. Margherita e San Sebastiano, adorava la «sciora Lüisa» così ad un cenno suo i ragazzi le portavano fiori selvaggi e felci, le portavano edera per rilegar con festoni i grandi mazzi fissati alle pareti dentro anelli di metallo. Anche alle braccia dell’arpa che pendeva dal soffitto della sala erano sempre attorcigliati lunghi serpenti d’edera e di passiflora.

Lo zio Piero, quando gli scrivevano di queste novità, rispondeva poco o nulla. Tutt’al più raccomandava di non tener troppo occupato l’ortolano il quale doveva pur attendere alle faccende proprie. La prima volta che capitò a Oria dopo la trasformazione del giardinetto, si fermò a guardarlo come aveva fatto per le sei piante di granturco e borbottò sottovoce: «oh poer a mi!» Uscì sulla terrazza, guardò il cupolino, toccò le aste di ferro e pronunciò un «basta!» rassegnato ma pieno di disapprovazione per tante eleganze superiori allo