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192 parte ii - capitolo ii

Commissario. «El mè Carlo el baia un poo ma l’è on bon omasc; quell’alter là, el baia minga, mah, neh...!» Per esempio, ella non sapeva niente, non aveva udito niente ma se quel signor avvocato e quell’altro signore fossero venuti per qualche altra cosa invece che per la musica e il Commissario venisse a saperlo, misericordia!

La luna trascinava i suoi splendori per il lago verso le acque di ponente; il giuoco finì e il signor Giacomo si dispose a far accendere il suo lanternino, malgrado le esclamazioni di Pasotti. «Il lume, sior Zacomo? È matto? Il lume con questa luna?» «Per servirla» rispose il signor Giacomo. «Prima ghe xe quel maledeto Pomodoro da passar; e po, cossa vorla, adesso, la luna! La diga che la xe la luna d’agosto, anca; perchè siben che semo de setembre, la luna la xe d’agosto. Ben! Una volta, sì signor, le lune d’agosto le gera lunazze, tanto fate, come fondi de tina; adesso le xe lunete, buzarete.... no, no, no.» E, acceso il suo lanternino, partì con Pasotti, accompagnato fino al cancello del giardinetto dall’impertinente Pedraglio con le solite antifone sul toro e la servente, si avviò verso gli antri di Oria, col conforto delle giaculatorie di Pasotti: «gente maleducata, sior Zacomo, gente villana!» giaculatorie dette abbastanza forte perchè gli altri potessero udire e ridere.