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risotto e tartufi 17

Io lo butto nel lago» diss’ella. Gittò un’occhiata a prora e trovò lo scampo di osservare che si toccava Cressogno, ch’era tempo di smettere.

Suo marito sbuffò alquanto, ma poi si rassegnò a infilare i guanti.

«Trota, oggi, curato» diss’egli mentre l’umile sposa glieli abbottonava. «Tartufi bianchi, francolini e vin di Ghemme.»

«Lo sa, lo sa, lo sa?» esclamò il curato. «Lo so anch’io. Me l’ha detto il cuoco, ieri, a Lugano. Che miracoli, eh, la signora marchesa!»

«Ma, miracoli? Pranzo di Sant’Orsola, intanto; e poi invito di signore; le Carabelli madre e figlia; quelle Carabelli di Loveno, sa?»

«Ah sì?» fece il curato. «E ci sarebbe qualche progetto...? Ecco là don Franco in barca. Ehi, che bandiera, il giovinotto! Non gliel’ho mai vista.»

Pasotti alzò la tenda del battello, per vedere. Poco discosto, una barca dalla bandiera bianca e azzurra si cullava in un comune moto di saliscendi, in una comune stanchezza con l’onda. A poppa, sotto la bandiera, v’era seduto don Franco Maironi, l’abiatico della vecchia marchesa Orsola che dava il pranzo.

Pasotti lo vide alzarsi, dar di piglio ai remi e allontanarsi, remando adagio, verso l’alto lago, verso il golfo selvaggio del Doi; la bandiera bianca e azzurra si spiegava tutta, sventolava sulla scìa.

«Dove va, quell’originale?» diss’egli. E bron-