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332 parte ii - capitolo viii

cupo, una freddezza nemica. Si alzò, mosse adagio adagio verso di lui, a mani giunte, fissandolo, cercando gli occhi che la evitavano e si fermò per via, respinta da una forza superiore, benché egli non avesse detto una parola né fatto un gesto.

«Franco!», supplicò. «Non mi puoi amare più?»

Egli non rispose.

«Franco! Franco!», diss’ella, tendendogli le mani giunte. Poi fece l’atto di avanzare. Egli si tirò bruscamente indietro. Stettero così a fronte in silenzio, per un eterno mezzo minuto.

Franco teneva le labbra serrate, si udiva la sua respirazione frequente. Fu lui che ruppe il silenzio.

«Quello che hai detto è proprio il tuo pensiero?»

«Sì.»

Egli teneva le mani sulla spalliera d’una seggiola. La scosse con violenza e disse amaramente: «basta». Luisa lo guardò con tristezza indicibile e mormorò: «basta?». Egli rispose con ira: «sì, basta basta basta basta!». Tacque un istante e riprese duramente: «Sarò un neghittoso, un inerte, un egoista, tutto quello che vuoi ma non sono poi un bambino da venirmi a quietare con due carezze dopo avermi detto tutto quello che mi hai detto! Basta!».

«Oh Franco, ti ho fatto male, lo so, ma mi è costato tanto di farti male! Non puoi prendermi con bontà?»

«Ah, prenderti con bontà! Tu vuoi ferire e che ti si prenda con bontà! Tu sei superiore a tutti,