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296 | capitolo quinto. |
un fervere di piccoli viventi, accorsi al lume e all’odore di godimento. Molte farfallucce vane, qualche fatua falena, molti moscerini curiosi, qualche maligna zanzara, non pochi scarabei di pregio, non poche nobili api vi facevano un ronzìo continuo, molesto, forse, alle cose immobili, adoranti nella notte angusta, come ai devoti nelle cattedrali un pertinace battibecco di sagrestani e di femminucce. Solo i rosai abbracciati ai balaustri della terrazza di ponente avevano fremiti e moti come se la domesticità lunga avesse loro propagato il senso del piacere umano. Così osservò passeggiando sulla terrazza un poeta indigeno alla dama pure indigena cui dava il braccio. “Ma Lei„, diss’ella “trova che c’è tanto piacere umano, qui? Tranne io, in questo momento„ soggiunse con una voce strascicata e ridente che attenuava la dolcezza delle parole, “tranne forse un pochino anche Lei, più o meno si seccan tutti. Non ha visto che mutrie? Pare gente che aspetti il suo turno nella sala di un dentista. Per fortuna c’è quel signore color carota che si diverte!„
Quel signore color carota, l’uomo acido, errava soletto per le sale, in abito di mattina, fra le code di rondine e le toilettes chiare, scollate, fiutando i mobili a uno a uno, regalando a ciascuno una particolare smorfia, e non pareva infatti il ritratto