Legisti di mettere in campo i loro capriccj, e
di seminare, e sostenere mille discordie!
Che se le Leggi Romane riefcono non di
rado oscure al Cujacio, all’Ottomanno, Duarado,
ai Fabbri, al Noodt, Binkrersoechio,
Schultingio, ed agli altri più illuminati i Legisti
de’ nostri tempi i quali hanno avuto una immensa
provvisione di tutti i mezzi più necessarj per
giugnere all’intelligenza di quelle Leggi come
a dire una vasta cognizione delle lingue greca,
e latina, della Storia, delle antichità, della
vecchia filosofia, della critica, che pena, e
che martirio non daranno poi questi volumi
di Giustiniano al rimanente de’ Giuristi, che
tanto sanno di Greco, di Latino, di Storia,
di Filosofia, e di critica, quanto ne sapeva il
buon uomo di Sancio Panza. Per intendere la
lingua degli antichi Giuristi, non basta mica
sapere il gergo del Bortolo, o del Fulgosio,
ma bisogna aver studiato assai bene su’ libri degli
Autori classici de’ vecchj tempi, come ognuno,
che abbia veduto le prime pagine dei Digesti,
può aver da se medesimo bastevolmente
compreso. Così per intendere lo spirito delle
Leggi Romane non basta l’avere in mente le
filastrocche di Curzio, che si legge nelle scuole,
nè gli esempj cavati dal Flos Sanctorum,
che ordinariamente insegnano i Maestri, ma
egli è assolutamente necessario di essere ben
versati nella Storia, ed antichità Romane, colle
quali sole si può arrivare a conoscere l’indole
delle Leggi, a ravvisare il fine del Legislatore,
ed a scoprire l’occasione, in cui fu
portata la Legge. E senza di queste cognizio-