Pagina:Pirandello - Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Firenze, Bemporad, 1925.djvu/109

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La sa e la vede. Ma gli altri — intelligenti e garbati — lo disprezzano e lo sfuggono? Ebbene, ella lo pregia e s’attacca a lui appunto per questo; appunto perchè egli non è nè intelligente, nè garbato.

Miglior prova di questa non potrei avere. Eppure, oltre questo fierissimo sdegno, qualcos’altro deve agitarsi in questo momento nel cuore di lei! Certo, ella medita qualche cosa. Certo, Carlo Ferro per lei non è altro che un aspro, amarissimo rimedio, a cui, stringendo i denti, facendo un’enorme violenza a se stessa, s’è sottoposta per curare in sè un male disperato. E ora, più che mai, si tiene stretta a questo rimedio, balenandole la minaccia, con la venuta del Nuti, di ricadere nel suo male. Non perchè, io credo, Aldo Nuti abbia su lei un tal potere. Subito, come un fantoccio, allora, ella lo prese, lo spezzò, lo buttò via. Ma la venuta di lui, ora, non ha certo altro scopo che di toglierla, strapparla al suo rimedio, riponendole davanti lo spettro di Giorgio Mirelli, in cui ella forse vede il suo male: lo smanioso tormento del suo spirito strano, del quale nessuno tra gli uomini, a cui s’è accostata, ha saputo e voluto prendersi cura.

Ella non vuole più il suo male; ne vuole a ogni costo guarire. Sa che, se Carlo Ferro la stringe tra le braccia, può temere d’esserne spezzata. E questo timore le piace.

— Ma che ti vale — vorrei gridarle — che ti vale che Aldo Nuti non venga a riportelo davanti, il tuo male, se tu lo hai ancora in te, soffocato a forza e non vinto? Tu non vuoi vedere la tua anima: è possibile? T’insegue, t’insegue sempre,