Pagina:Pirandello - Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Firenze, Bemporad, 1925.djvu/114

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su quel viso era il gioco dell’ombra violacea, vaga e rigata da fili d’oro di sole, che or le accendevano una pinna del naso e un po’ del labbro superiore, ora il lobo dell’orecchio e un tratto del collo.

Mi vedo talvolta assaltato con tanta violenza dagli aspetti esterni, che la nitidezza precisa, spiccata, delle mie percezioni mi fa quasi sgomento. Diventa talmente mio quello che vedo con così nitida percezione, che mi sgomenta il pensare, come mai un dato aspetto — cosa o persona — possa non essere qual io lo vorrei. L’avversione della Nestoroff in quel momento di così intensa lucidità percettiva mi era intollerabile. Come mai non intendeva, ch’io non le ero nemico?

A un tratto, dopo avere spiato un pezzo di tra l’incannicciata, ella s’alzò e la vedemmo avviarsi fuori, a una carrozza d’affitto, anch’essa da un’ora lì ferma davanti l’entrata della Kosmograph ad aspettare sotto il sole cocente. Avevo veduto anch’io quella carrozza; ma il fogliame della vite m’impediva di scorgere chi vi fosse ad aspettare. Aspettava da tanto tempo, che non potevo credere vi fosse su qualcuno. Polacco s’alzò; m’alzai anch’io, e guardammo.

Una giovinetta, vestita d’un abitino azzurro, di tela svizzera, lieve lieve, sotto un cappellone di paglia, guarnito di nastri di velluto nero, stava in quella carrozza ad aspettare. Con in grembo una vecchia cagnetta pelosa, bianca e nera, guardava timida e afflitta il tassametro della vettura, che di tanto in tanto scattava e già doveva segnare una cifra non lieve. La Nestoroff le s’accostò con molta grazia e la invitò a smontare per