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La signorina Luisetta spalancò tanto d’occhi in faccia alla Nestoroff, sbigottita.
— Per finta! Non abbia paura! — seguitò Polacco, sorridendo. — Il signore s’avventa, disarma la signora; intanto lei s’è abbandonata prima sul sedile, ferita a morte; dal sedile trabocca giù a terra — senza farsi male, per carità! — e tutto è finito... Su, su, non perdiamo altro tempo! Faremo una prova sul posto; vedrà che andrà bene... e che bel regalino le farà poi la Kosmograph!
— Ma se papà...
— Lo avvertiremo!
— E Piccinì?
— La porteremo con noi; la terrò in braccio io... Vedrà che la Kosmograph farà un bel regalino anche a Piccinì... Su, su, via! —
Salendo in automobile (ancora, certo, per non parer timida e sciocchina), ella che non aveva più badato a me, mi guardò, incerta.
Perchè andavo anch’io? che rappresentavo io?
Nessuno mi aveva rivolto la parola; ero stato appena appena presentato, come si farebbe d’un cane; non avevo aperto bocca; seguitavo a star muto...
M’accorsi che questa mia presenza muta, di cui ella non vedeva la necessità, ma che pur le s’imponeva come misteriosamente necessaria, cominciava a turbarla. Nessuno si curava di dargliene la spiegazione; non potevo dargliela io. Le ero sembrato uno come gli altri; anzi forse, a prima giunta, uno più vicino a lei degli altri. Ora cominciava ad avvertire che per questi altri ed anche per lei (in confuso) non ero propriamente uno. Co-