Pagina:Pirandello - Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Firenze, Bemporad, 1925.djvu/161

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che avrei fatto io, m’offende, pur riconoscendo che doveva farsi così, anzi appunto perchè riconosco che doveva farsi così.

Ah, che effetto prodigioso fanno alle donne le lagrime negli occhi d’un uomo, massime se lagrime d’amore! Ma voglio essere giusto: l’hanno fatto anche a me.

Mi ha tenuto di là circa quattro ore. Voleva seguitare a dire e a piangere: gliel’ho impedito, per pietà de’ suoi occhi specialmente. Non ho mai veduto due occhi ridursi, per il troppo piangere, così.

Dico male. Non per il troppo piangere. Forse poche lagrime (n’ha versate senza fine), ma forse poche soltanto sarebbero bastate a ridurgli ugualmente gli occhi in quello stato.

Eppure, è strano! Pare che non pianga lui. Per quel che dice, per quel che si propone di fare, non ha ragione nè, certo, voglia di piangere. Le lagrime gli bruciano gli occhi, le gote, e perciò sa che piange; ma non sente il suo pianto. I suoi occhi piangono quasi per un dolore non suo, per un dolore quasi delle lagrime stesse. Il suo dolore è feroce e non vuole e sdegna quelle lagrime.

Ma più strano ancora m’è sembrato questo: che quando invece a un certo punto, parlando, il suo sentimento s’è accostato — per così dire — alle lagrime, queste d’un tratto gli son venute meno. Mentre la voce gli s’inteneriva e gli tremava, gli occhi, al contrario — quegli occhi insanguati e disfatti poc’anzi dal pianto — gli sono diventati arsi e duri: feroci.

Quel ch’egli dice e i suoi occhi non possono dunque andar d’accordo.