Pagina:Pirandello - Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Firenze, Bemporad, 1925.djvu/18

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Ah, non bisogna fissarci l’udito. Darebbe una smania di punto in punto crescente, un’esasperazione a lungo insopportabile; farebbe impazzire.

In nulla, più in nulla, in mezzo a questo tramenìo vertiginoso, che investe e travolge, bisognerebbe fissarsi. Cogliere, attimo per attimo, questo rapido passaggio d’aspetti e di casi, e via, fino al punto che il ronzìo per ciascuno di noi non cesserà.


§ 3.


Non posso levarmi dalla mente l’uomo incontrato un anno fa, la sera stessa che arrivai a Roma.

Di novembre, sera rigidissima. M’aggiravo in cerca d’un modesto alloggio, non per me, uso a passar le notti all’aperto, amico delle nottole e delle stelle, quanto per la mia valigetta, ch’era tutta la mia casa, lasciata in deposito alla stazione; allorchè m’imbattei per caso in un mio amico di Sassari, da molto tempo perduto di vista: Simone Pau, uomo di costumi singolarissimi e spregiudicati. Udite le mie misere condizioni, egli mi propose d’andare a dormire per quella sera nel suo albergo. Accettai, e ci avviammo a piedi per le vie quasi deserte. Cammin facendo, gli parlavo delle mie molte disgrazie e delle scarse speranze che m’avevano condotto a Roma. Simone Pau alzava di tratto in tratto la testa scoperta, su cui i lunghi capelli grigi, lisci, sono spartiti in mezzo da una scriminatura alla nazzarena, ma a zig-zag, perchè fatta con le dita, in mancanza di pettine. Questi capelli, poi, tirati di qua e di là dietro gli orecchi, gli formano una curiosa zazzeretta rada, ineguale. Cac-