Pagina:Pirandello - Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Firenze, Bemporad, 1925.djvu/206

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La fiducia della signora Nene dovrebbe irritarmi, dovrebbe... — che altro? Niente. Dovrebbe irritarmi, dovrebbe avvilirmi: invece, non mi irrita, non mi avvilisce. Mi commuove, invece. Quasi per farmi maggior dispetto.

Ecco, la ragiono, questa fiducia, per cercare di vincere la dispettosa commozione.

È certo uno straordinario attestato d’incapacità, per un verso; di capacità, per un altro. Questo — dico l’attestato di capacità — potrebbe, in certo qual modo, lusingarmi; ma quello è sicuro che dalla stessa signora Nene non mi è dato senza una lieve punta di commiserazione derisoria.

Un uomo, incapace di far male, per lei, non può essere un uomo. Non sarà dunque neppure da uomo quell’altra mia capacità.

Pare che non si possa fare a meno di commettere il male, per essere stimati uomini. Per conto mio, io so bene, benissimo, d’essere uomo: male, n’ho commesso, e tanto! Ma sembra che gli altri non se ne vogliano accorgere. E questo mi fa rabbia. Mi fa rabbia perchè, costretto a prendermi quella patente, d’incapacità — che è, che non è — mi trovo addosso talvolta, imposta dalla soperchieria altrui, una bellissima cappa d’ipocrisia. E quante volte sbuffo sotto questa cappa! Non mai tante volte, certo, come di questi giorni. Quasi quasi mi verrebbe voglia di mettermi a guardare la signora Nene negli occhi in un certo modo, che... No, no, via, povera donna! S’è così ammansita, tutt’a un tratto, così imbalordita anzi, dopo quella sfuriata della figliuola e questa risoluzione improvvisa di mettersi a far l’attrice di cinemato-