Pagina:Pirandello - Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Firenze, Bemporad, 1925.djvu/220

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volte ripetuta, per miracolo d’arte e d’amore, in quel salotto, in sei tele di Giorgio Mirelli.

Fissata lì per sempre, in quella realtà divina ch’egli le aveva data, in quella divina luce, in quella divina fusione di colori, la donna che mi stava davanti che cos’era più ormai? in che laido smortume, in che miseria di realtà era ormai caduta? E aveva potuto osare di tingersi di quello strano color cùpreo i capelli, che lì nelle sei tele, davano col loro colore naturale tanta schiettezza d’espressione al suo volto intento, dal sorriso vago, dallo sguardo perduto nella malìa d’un sogno triste lontano?

Ella si fece umile, si restrinse come per vergogna in sè, sotto il mio sguardo che certo esprimeva uno sdegno penoso. Dal modo con cui mi guardò, dalla contrazione dolorosa delle ciglia e delle labbra, da tutto l’atteggiamento della persona compresi ch’ella non solo sentiva di meritarsi il mio sdegno, ma lo accettava e me n’era grata, perchè in questo sdegno, da lei condiviso, assaporava il castigo del suo delitto e della sua caduta. S’era guastata, s’era ritinti i capelli, s’era ridotta in quella realtà miserabile, conviveva con un uomo grossolano e violento, per fare strazio di sè: ecco, era chiaro; e voleva che nessuno ormai le s’accostasse per rimuoverla da quel disprezzo di sè, a cui s’era condannata, in cui riponeva il suo orgoglio, perchè solo in questa ferma e fiera intenzione di disprezzarsi si sentiva ancor degna del sogno luminoso, nel quale per un momento aveva respirato e di cui le restava la testimonianza viva e perenne nel prodigio di quelle sei tele.