Pagina:Pirandello - Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Firenze, Bemporad, 1925.djvu/236

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aspettava. Ma io. Dello stesso mondo? Il viaggio suo e il mio... la sua notte e la mia... No, io non avevo tempo, nè mondo, nè nulla. Il treno era suo; ci viaggiava lui. Come mai ci viaggiavo anch’io? com’ero anch’io nel mondo dove stava lui? Come, in che era mia quella notte, se non avevo come viverla, nulla da farci? La sua notte e tutto il tempo l’aveva lui, quell’uomo di mezza età, che ora rigirava un po’ infastidito il collo nel bianchissimo solino inamidato. No, nè mondo, nè tempo, nè nulla: io ero fuori di tutto, assente da me stesso e dalla vita; e non sapevo più dove fossi nè perchè ci fossi. Immagini avevo dentro di me, non mie, di cose, di persone; immagini, aspetti, figure, ricordi di persone, di cose che non erano mai state nella realtà, fuori di me, nel mondo che quel signore si vedeva attorno e toccava. Avevo creduto di vederle anch’io, di toccarle anch’io, ma che! non era vero niente! Non le avevo trovate più, perchè non c’erano state mai: ombre, sogno... Ma come avevano potuto venirmi in mente? donde? perchè? C’ero anch’io, forse, allora? c’era un io che ora non c’era più? Ma no: quel signore di mezza età mi diceva di no: che c’erano gli altri, ciascuno a suo modo e col suo mondo e col suo tempo: io no, non c’ero; sebbene, non essendoci, non avrei saputo dire dove fossi veramente e che cosa fossi, così senza tempo e senza mondo.

Non capivo più nulla. E nulla capii, quando, arrivato a Roma e giunto a casa, verso le dieci della sera, trovai nella sala da pranzo, lieti, come se nulla fosse stato, come se una nuova vita fosse