Pagina:Pirandello - Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Firenze, Bemporad, 1925.djvu/264

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— Forse! — sospirò. — Sempre più lontano per noi...

— No, — soggiunsi, — anche per l’immagine. L’immagine invecchia anch’essa, tal quale come invecchiamo noi a mano a mano. Invecchia, pure fissata lì sempre in quel momento; invecchia giovane, se siamo giovani, perchè quel giovane lì diviene d’anno in anno sempre più vecchio con noi, in noi.

— Non capisco.

— È facile intenderlo, se ci pensa un poco. Guardi: il tempo, da lì, da quel ritratto, non procede più innanzi, non s’allontana sempre più d’ora in ora con noi verso l’avvenire; pare che resti lì fissato, ma s’allontana anch’esso, in senso inverso; si sprofonda sempre più nel passato, il tempo. Per conseguenza l’immagine, lì, è una cosa morta che col tempo s’allontana man mano anch’essa sempre più nel passato: e più è giovane e più diviene vecchia e lontana.

— Ah già, così... Sì, sì, — disse. — Ma c’è qualche cosa di più triste. Un’immagine invecchiata giovane a vuoto.

— Come, a vuoto?

— L’immagine di qualcuno morto giovane. —

Mi voltai di nuovo a guardarlo; ma egli soggiunse subito:

— Ho un ritratto di mio padre, morto giovanissimo, circa all’età mia; tanto che io non l’ho conosciuto. L’ho custodita con reverenza, quest’immagine, benchè non mi dica nulla. S’è invecchiata anch’essa, sì, profondandosi, come lei dice, nel passato. Ma il tempo che ha invecchiato l’imma-