Pagina:Pirandello - Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Firenze, Bemporad, 1925.djvu/80

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l’arte, e che quella realtà, che può dargli una macchina, lo uccide, per il solo fatto che gli è data da una macchina, cioè con un mezzo che ne scopre e dimostra la finzione per il fatto stesso che lo dà e presenta come reale. Ma se è meccanismo, come può esser vita, come può esser arte? È quasi come entrare in uno di quei musei di statue viventi, di cera, vestite e dipinte. Non si prova altro che la sorpresa (che qui può essere anche ribrezzo) del movimento, dove non è possibile l’illusione d’una realtà materiale.

E nessuno crede sul serio di poterla creare, quest’illusione. Si fa alla meglio per dar roba da prendere alla macchina, qua nei cantieri, là nei quattro teatri di posa o nelle piattaforme. Il pubblico, come la macchina, prende tutto. Si fan denari a palate, e migliaja e migliaja di lire si possono spendere allegramente per la costruzione d’una scena, che su lo schermo non durerà più di due minuti.

Apparatori, macchinisti, attori si dànno tutti l’aria d’ingannare la macchina, che darà apparenza di realtà a tutte le loro finzioni.

Che sono io per essi, io che con molta serietà assisto impassibile, girando la manovella, a quel loro stupido giuoco?


§ 4.


Permettete un momento. Vado a vedere la tigre. Dirò, seguiterò a dire, riprenderò il filo del discorso più tardi, non dubitate. Bisogna che vada, per ora, a vedere la tigre.