Pagina:Pirandello - Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Firenze, Bemporad, 1925.djvu/82

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È certo un pregio sapere stare allo scherzo; ma sappiamo che non tutti l’hanno. Parecchi non sanno neppure tollerare che altri pensi di poter scherzare con loro. Parlo di uomini, i quali pure, in astratto, possono riconoscer tutti che talvolta sia cosa lecita scherzare.

La tigre, voi dite, non sta esposta in giardino zoologico per ischerzo. Lo credo. Ma non vi sembra uno scherzo pensare, ch’essa possa supporre che la teniate lì esposta per dare al popolo una “nozione vivente” di storia naturale?

Eccoci al punto di prima. Questa — non essendo noi propriamente tigri, ma uomini — è retorica.

Possiamo aver compatimento per un uomo che non sappia stare allo scherzo; non dobbiamo averne per una bestia; tanto più se questo scherzo a cui l’abbiamo esposta, dico della “nozione vivente”, può avere conseguenze funeste: cioè per i visitatori del Giardino Zoologico, una nozione troppo sperimentale della ferocia di essa.

Questa tigre fu dunque saggiamente condannata a morte. La Società della Kosmograph riuscì a saperlo in tempo e la comperò. Ora è qui, in una gabbia del nostro serraglio. Dacchè è qui, è saggissima. Come si spiega? Il nostro trattamento, senza dubbio, le sembra molto più logico. Qui non le data libertà di provarsi a saltare alcun fosso, nessuna illusione di color locale, come nel Giardino Zoologico. Qui ha davanti le sbarre della gabbia, che le dicono di continuo: — Tu non puoi scappare; sei prigioniera; — e sta quasi tutto il giorno sdrajata e rassegnata a guardare di tra queste sbarre, in un’attesa tranquilla e attonita.