Pagina:Pirandello - Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Firenze, Bemporad, 1925.djvu/90

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disposizione d’animo per lei; si vestirebbe per me d’una parte che me ne nasconderebbe tante altre; e non potrei più studiarla, com’ora la studio, intera.

Le parlai della tigre, dei sentimenti che la presenza di essa in questo luogo e la sua sorte destano in me; ma mi accorsi subito ch’ella non era in grado d’intenderli, non forse per incapacità, ma perchè le relazioni, che tra lei e la belva si sono stabilite, non le consentono nè pietà per essa, nè sdegno per l’azione che qui sarà compiuta.

Mi disse, acutamente:

— Finzione, sì; anche stupida, se volete; ma quando sarà sollevato lo sportello della gabbia e questa bestia sarà fatta entrare nell’altra gabbia più grande che figurerà un pezzo di bosco, con le sbarre nascoste da fronde, il cacciatore, per quanto finto come il bosco, avrà pur diritto di difendersi da essa, appunto perchè essa, come voi dite, non è una bestia finta, ma una bestia vera.

— Ma il male è appunto questo, — esclamai: — servirsi d’una bestia vera dove tutto sarà finto.

— Chi ve lo dice? — rimbeccò pronta. — Sarà finta la parte del cacciatore; ma di fronte a questa bestia vera sarà pure un uomo vero! E v’assicuro che se egli non la ucciderà al primo colpo, o non la ferirà in modo d’atterrarla, essa, senza tener conto che il cacciatore sarà finto e finta la caccia, gli salterà addosso e sbranerà per davvero un uomo vero. —

Sorrisi dell’arguzia della sua logica e dissi:

— Ma chi l’avrà voluto? Guardatela com’essa è qua! Non sa nulla, questa bella bestia, senza colpa della sua ferocia. —