Pagina:Pirandello - Uno nessuno e centomila, Milano, Mondadori, 1936.djvu/127

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— Ma sì! è qui tutto, — pensavo, — in questa sopraffazione. Ciascuno vuole imporre agli altri quel mondo che ha dentro, come se fosse fuori, e che tutti debbano vederlo a suo modo, e che gli altri non possano esservi se non come li vede lui. —

Mi ritornavano davanti agli occhi le stupide facce di tutti quei commessi, e seguitavo a pensare:

— Ma sì! Ma sì! Che realtà può essere quella che la maggioranza degli uomini riesce a costituire in sè? Misera, labile, incerta. E i sopraffattori, ecco, ne approfittano! O piuttosto, s’illudono di poterne profittare, facendo subire o accettare quel senso e quel valore ch’essi dànno a se stessi, agli altri, alle cose, per modo che tutti vedano e sentano, pensino e parlino a modo loro. —

Mi levai da sedere; m’avvicinai alla finestra con un gran refrigerio; poi mi voltai verso Quantorzo che, interrotto nel meglio del suo discorso, stava a guardarmi con tanto d’occhi; e, seguitando il pensiero che mi torturava, dissi:

— Ma che! ma che! s’illudono!

— Chi s’illude?

— Quelli che vogliono sopraffare! Il signor Firbo, per esempio! S’illudono perchè in verità poi, caro mio, non riescono a imporre altro che parole. Parole, capisci? parole che ciascuno intende e ripete a suo modo. Eh, ma si formano pure così le cosiddette opinioni correnti! E guai a chi un bel giorno si trovi bollato da una di queste parole che tutti ripetono. Per esempio: usurajo! Per esempio: pazzo! Ma di’ un po’: