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— Parole nuove! — gridai. — Volete ascoltarle? Andate, andate là, dove li tenete chiusi: andate, andate a sentirli parlare! Li tenete chiusi perchè così vi conviene! —
Afferrai Firbo per il bavero della giacca e lo scrollai, ridendo:
— Capisci, Stefano? Non ce l’ho mica soltanto con te! Tu ti sei offeso. No, caro mio! Che diceva di te tua moglie? Che sei un libertino, un ladro, un falsario, un impostore, e che non fai altro che dire bugie! Non è vero. Nessuno può crederlo. Ma prima che tu la chiudessi, eh? stavamo tutti ad ascoltarla, spaventati. Vorrei sapere perchè! —
Firbo mi guardò appena e si voltò a Quantorzo come a chiedergli consiglio con scimunita angustia e disse:
— Oh bella! Ma appunto perchè nessuno poteva crederlo!
— Ah no, caro! — gli gridai. — Guardami bene negli occhi!
— Che intendi dire?
— Guardami negli occhi! — gli ripetei. — Non dico che sia vero! Stai tranquillo. —
Si sforzò a guardarmi, smorendo.
— Lo vedi? — gli gridai allora, — lo vedi? tu stesso! lo hai anche tu, ora, lo spavento negli occhi! —
— Ma perchè mi stai sembrando pazzo! — mi urlò in faccia, esasperato.
Scoppiai a ridere, e risi a lungo, a lungo, senza potermi frenare, notando la paura, lo scompiglio che quella mia risata cagionava a tutt’e due.