Pagina:Pirandello - Uno nessuno e centomila, Milano, Mondadori, 1936.djvu/151

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Io non posso più vedermi guardato. Neanche da te. Ho paura anche di come ora mi guardi tu. Nessuno dubita di quel che vede, e va ciascuno tra le cose, sicuro ch’esse appajano agli altri quali sono per lui; figuriamoci poi se c’è chi pensa che ci siete anche voi bestie che guardate uomini e cose con codesti occhi silenziosi, e chi sa come li vedete, e che ve ne pare. Io ho perduto, perduto per sempre la realtà mia e quella di tutte le cose negli occhi degli altri, Bibì! Appena mi tocco, mi manco. Perchè sotto il mio stesso tatto suppongo la realtà che gli altri mi dànno e ch’io non so nè potrò mai sapere. Cosicchè, vedi? io — questo che ora ti parla — questo che ora ti tiene così sollevate da terra queste due zampine — le parole che ti dico, non so, non so proprio, Bibì, chi te le dica. —

Ebbe a questo punto un soprassalto improvviso, la povera bestiolina, e volle sguizzarmi dalle mani che le reggevano le due zampine. Senza indugiarmi a riflettere se quel soprassalto fosse per lo spavento di quel che le avevo detto, per non spezzargliele, gliele lasciai, e subito allora essa si sfogò abbajando contro un gatto bianco intravisto tra l’erba in fondo al recinto: se non che il laccetto rosso trascinato tra i piedi in corsa a un tratto le s’impigliò in uno sterpo e le diede un tale strappo, che la fece arrovesciare all’indietro e rotolare come un batuffolo. Friggendo di rabbia si raddrizzò, ma restò lì, puntata su le quattro zampe, non sapendo più dove avventare la sua furia interrotta: guardò di qua, di là: il gatto non c’era più.