Pagina:Pirandello - Uno nessuno e centomila, Milano, Mondadori, 1936.djvu/166

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sorriso, più che più si smarrì, avvertendo subito che gli mancava accanto una certezza di consenso, su cui finora aveva creduto di potersi fidare.

Scoppiai a ridere; ma nè l’uno nè l’altra ne indovinarono la ragione; fui tentato di gridargliela in faccia, scrollandoli: “Ma vedete? vedete? E come potete essere allora così sicuri, se da un minuto all’altro una minima impressione basta a farvi dubitare di voi stessi e degli altri?„

— Lascia andare! — troncai con un atto di sdegno, per significargli che la stima che poteva essersi fatta di me, della mia sanità mentale, non aveva più, almeno per il momento, alcuna importanza. — Rispondi a me. Ho visto alla banca bilance e bilancine. Vi servono per pesare i pegni, è vero? Ma tu, dimmi un po’: tu, tu, sulla tua coscienza, li hai mai pesati, tu, col peso che possono avere per gli altri, codesti che chiami gli atti normali della banca? —

A questa domanda Quantorzo si guardò di nuovo attorno, quasi che da altri, oltre che da me, si sentisse ancora, proditoriamente, tirare fuor di strada.

— Come, sulla mia coscienza?

— Credi che non c’entri? — ribattei subito. — Eh, lo so! E forse credi che non c’entri neppure la mia, perchè ve l’ho lasciata per tanti anni alla banca, con tutto l’altro patrimonio, ad amministrare secondo le norme di mio padre.

— Ma la banca... — si provò a obiettare Quantorzo.

Scattai di nuovo:

— La banca... la banca... Non sai veder altro che