Pagina:Pirandello - Uno nessuno e centomila, Milano, Mondadori, 1936.djvu/183

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morataggine, per il giuoco che voleva seguitare, pericolosissimo, mentre erano in ballo così gravi interessi e per quell’uomo là e per tanti altri: le sorti della banca; le sorti della mia famiglia: avere altre prove di quella terribile cosa che già sapevo: cioè, che sarei inevitabilmente sembrato pazzo, ancora e più di prima, coi discorsi che mi disponevo a fare, giù a rotta di collo per la china di quell’incredibile e inverosimile ingenuità che aveva fatto strabiliare Quantorzo e buttar via dalle risa mia moglie.

Difatti, anche per me ormai, se consideravo bene a fondo le cose, non poteva esser valida scusa la coscienza a cui volevo appigliarmi. Potevo sentirmi rimordere sul serio di quell’usura che non m’ero mai inteso di esercitare? Avevo sì firmato per formalità gli atti di quella banca; ero vissuto fino a quel momento dei guadagni di essa, senza mai pensarci; ma ora che finalmente me ne rendevo conto, avrei ritirato i danari dalla banca, e presto, per mettermi del tutto a posto, me ne sarei liberato come che fosse, istituendo un’opera di carità o qualcosa di simile.

— Come! E ti par niente tutto questo? Ma Dio mio, ma dunque è vero?

— Vero, che cosa?

— Che ti sei impazzito! E di mia figlia, che vorresti farne? Come vorresti vivere? di che?

— Ecco, questo sì: questo mi pare importante. Da studiare.

— Rovinare per sempre la tua posizione? Ciascuno ha sempre fatto i suoi affari, da che mondo è mondo.