Pagina:Pirandello - Uno nessuno e centomila, Milano, Mondadori, 1936.djvu/229

Da Wikisource.

l’erba al silenzio dei cieli; empirsi l’anima di tutta quella vana azzurrità, facendovi naufragare ogni pensiero, ogni memoria!

Poteva, domando io, capitare più inopportuno quel giudice?

Mi duole, a ripensarci, se egli quel giorno se n’andò da casa mia con l’impressione ch’io volessi burlarmi di lui. Aveva della talpa, con quelle due manine sempre alzate vicino alla bocca, e i piccoli occhi plumbei quasi senza vista, socchiusi; scontorto in tutta la magra personcina mal vestita, con una spalla più alta dell’altra. Per via, andava di traverso, come i cani; benchè poi tutti dicessero che, moralmente, nessuno sapeva rigare più diritto di lui.

Le mie considerazioni sulla vita?

— Ah signor giudice, — gli dissi, — non è possibile, creda, ch’io gliele ripeta. Guardi qua! Guardi qua! —

E gli mostrai la coperta di lana verde, passandoci sopra delicatamente la mano.

— Lei ha l’ufficio di raccogliere e preparare gli elementi di cui la giustizia domani si servirà per emanare le sue sentenze? E viene a domandare a me le mie considerazioni sulla vita, quelle che per l’imputata sono state la cagione d’uccidermi? Ma se io gliele ripetessi, signor giudice, ho gran paura che lei non ucciderebbe più me, ma se stesso, per il rimorso d’avere per tanti anni esercitato codesto suo ufficio. No, no: io non gliele dirò, signor giudice! È bene che lei anzi si turi gli orecchi per non udire il terribile fragore d’una certa rapina sotto gli argini, oltre i limiti che