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baro d’abbandonare le proprie contrade e correre alla conquista di nuove regioni. La volontà dell’Autocrate basterà per esaltarlo in difesa del proprio paese, ma non già per trasformare in conquistatore un popolo di servi. La Russia contribuisce a compiere queste leggi fatali non già con la guerra, ma col lento lavoro del commercio.

La civiltà europea già varca gli Ural e penetra in Asia. Finalmente se ci faremo a considerare attentamente le condizioni dell’Inghilterra, ben lungi dal vedere in essa la Roma o la Cartagine moderna, noi crediamo che essi rappresenti ciò che era Venezia nel medio evo. L’Inghilterra vive d’industria, i suoi prodotti sono immensi e sempre crescenti, quindi essa ha bisogno di mercati vastissimi; essa deve, se le circostanze lo richiedono, aprire col cannone lo sbocco ai suoi prodotti. Quindi a noi pare che l’Inghilterra sia destinata a capitanare l’esercito di trafficanti, che unificherà la civiltà europea e l’asiatica se impreveduti avvenimenti non cangiano la condizione dei popoli.

Dunque, esclameranno i partigiani del continuo progresso, noi ci avviciniamo verso l’unità meridionale (?), che verrà quasi pacificamente attuata; noi ci avviciniamo ad un libero e facile commercio fra tutti i popoli della terra; i vari prodotti di tante nazioni, la loro industria, le attitudini speciali di ciascun popolo, di ciascun individuo, saranno volti a benefizio di tutta l’umanità; — questo è quello che desideriamo. Ma la storia e la logica ci conducono a queste incoraggianti conclusioni? Cerchiamo le sorti più vicine, a cui accenna la vita politica ed economica dei popoli moderni.

Sino allo scorcio del XV secolo l’Italia fu l’astro intorno a cui tutti i popoli hanno compiuto il loro giro, il centro verso di cui tutti hanno gravitato. La sua luce offuscata, spenta questa signora delle genti, questo