Pagina:Poe - Perdita di fiato, traduzione di A.C. Rossi, Bottega di Poesia, Milano, 1922.djvu/116

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«Essendo evidente che mi si parlava, non sapevo come rispondere, dato che non v’era modo di capire quel che si diceva; e in questa difficoltà mi volsi al facchino, che era quasi svenuto dallo spavento, e gli domandai, a sua opinione, di che specie di mostro si trattasse, che cosa volesse, e che specie di creature fossero quelle che brulicavano sul suo dorso. Egli replicò, nel miglior modo che potè data la sua trepidazione, che egli aveva inteso parlare una volta di questo mostro marino; che era un demonio crudele, con delle interiora di zolfo e sangue di foco, creato dai geni malvagi quale mezzo per poter infliggere dei tormenti all’umanità; che i cosi sulla sua schiena erano dei parassiti simili a quelli che infestano talvolta i cani ed i gatti, soltanto un po’ più grossi e più salvatici; e che questi parassiti avevan la loro utilità, sebbene pel verso del male; perchè, in forza delle torture che infliggevano al mostro mordicchiandolo e punzecchiandolo, esso era portato a quel parossismo di furore che era richiesto per farlo ruggire e commettere il male, e riempire così i vendicativi e maligni disegni dei geni malvagi.

«Questa spiegazione mi determinò a darmela a gambe, e senza volgermi una sola volta, corsi a tutta velocità su verso le colline, mentre