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il fiore 237

XII

L’Amante.

     Tutto pien d’umiltá verso ’l giardino
torna’mi, com’Amico avea parlato,
ed i’ guardai e sí ebbi avvisato
4lo Schifo, con un gran baston di pino,
ch’andava riturando ogne cammino,
che dentro a forza non vi fosse ’ntrato.
Sí ch’io mi trassi a lui, e salutato
8umilemente l’ebbi a capo chino,
     e sí gli dissi: «Schifo, aggie merzede
di me, se ’nverso te feci alcun fallo,
11chéd i’ sí son venuto a pura fede
a tua merzede, e presto d’ammendallo».
Que’ mi riguarda, e tuttor si provede,
14ched i’ non dica ciò per ingannallo.

XIII

Franchezza.

     Sí com’i’ stava in far mia pregheria
a quel fello ch’è sí pien d’arditezza,
lo Dio d’amor sí vi mandò Franchezza,
4co llei Pietá, per sua ambasceria.
Franchezza cominciò la diceria,
e disse: «Schifo, tu fa’ istranezza
a quel valletto ch’è pien di larghezza
8e prode e franco, sanza villania.
     Lo Dio d’amor ti manda che ti piaccia
che tu non sie sí strano al su’ sergente,
11ché gran peccato fa chi lui impaccia;
ma sòffera che vada arditamente
per lo giardino e nol metter in caccia,
14e guardi il fior che sí gli par aolente».