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242 | poemetti allegorico-didascalici |
XXII
Castitá.
Castitá, che da Veno è guerreggiata,
sí disse a Gelosia: «Per Dio, merzede!
S’a questo fatto l’uon non ci provede,
4i’ potre’ ben tosto essere adontata.
Vergogna e Paor m’hanno abbandonata:
in quello Schifo, foll’è chi si crede,
ch’i’ son certana ch’e’ non ama a fede,
8po’ del giardin sí mal guardò l’entrata;
onde vo’ siete la miglior guardiana
ch’i’ ’n esto mondo potesse trovare,
11Gran luogo avete in Lombardia e ’n Toscana.
Per dio, ched e’ vi piaccia il fior guardare!
Ché se que’ che ’l basciò punto lo sgrana,
14non fia misfatto ch’uon poss’ammendare».
XXIII
Gelosia.
Gelosia disse: «I’ prendo a me la guarda,
ch’a ben guardar il fior è mia credenza,
ch’i’ avrò gente di tal provedenza
4ched i’ non dotto giá che Veno gli arda».
Al giardin se n’andò fier’ e gagliarda,
ed ivi si trovò Bellaccoglienza
e dissele: «Tu ha’ fatta tal fallenza
8ch’i’ ti tengo per folle e per musarda.
Ed a voi dico, Paur’ e Vergogna,
che chi di fior guardar in voi si fida
11certa son che non ha lett’a Bologna.
E quello Schifo che punt’or non grida,
gli varria me’ che fosse in Catalogna,
14sed e’ non guarda ben ciò ch’egli ha ’n guida».