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Pagina:Poemetti italiani, vol. I.djvu/113

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     Velloso armento, che bel prato pasce,
Ov’ella di sedersi ha per costume,
Quanto più rode, più tanto rinasce
D’erboso, e vago per sì chiaro lume
Tal valor portò seco da le fasce
Questa Fenice da l’aurate piume:
Dunque Pastori omai casti, e divoti,
Porgete a lei, e non a Pale i voti.

     Che potrà quella terra di leggero
Ch’ella col piede pargoletto preme,
Risponder largo ad ogni avaro impero,
E colmar de i bifolci ogni alta speme:
Che fioriran per qualunque sentiero
Via maggior frutti, che non porta il seme:
Nè potrà danneggiar grandine, o belva,
O di loglio, o d’avene orrida selva.

     Nè perchè il verno i solchi aspro non rompa,
O la sementa non offenda il gelo;
Nè per continua pioggia si corrompa
Sopra l’umido suo terrestre velo,
Accolti in lunga, e coronata pompa
Sparger i prieghi vi fia d’uopo al cielo;
Che questa con la vista umile, e piana
Ogni altra indegnità vi fa lontana.