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Pagina:Poemetti italiani, vol. I.djvu/140

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     E per non dare in qualche rompicollo,
Bello, e sol fin ad Ostia ir mi disposi,
Indi per mar, benchè svogliato, e frollo.
     Però l’abito indosso mi riposi,
Che fu de jure antiquo, e positivo,
Di certi panni assai lograti, e rosi.
     Ma ciò per colpa del destin cattivo,
Poichè i Signor Grammatici moderni
Hanno dal declinar tolto il dativo.
     Comprai anco una mula; e acciò gl’interni
Pensier comunicar potessi seco,
L’accappai da consigli, e da governi.
     La qual, per quel, ch’ella poi disse meco,
Scese in Tulia già con Carlo ottavo,
Con le bagaglie d’un trombetta Greco.
     Avea una sella, e finimento bravo,
Era di coda lunga, e vista corta,
Nata di madre sarda, è padre schiavo.
     Fui con questa in due giorni a Prima-porta,
Però ch’ogni animal ben che restio,
Sen va, se con gli spron uom ce ’l conforta.
     Or cavalcando pur pel fatto mio,
Passai per Roma, e gii per mezzo Banchi
Vidi la Corte, e non li dissi a Dio.
     Così poressi la moria de’ Bianchi
Vederci un dì passar con la gramaglia,
Che coprisse al caval la groppa, e i fianchi.