Pagina:Poemetti italiani, vol. I.djvu/185

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     Nè possente Ragion, che ’l ver disvele,
E’l ben discerne, e’l male, e al Ciel sormonta,
Verrebbe a farti in ciò guida fedele.
     Altra norma più certa a te sia conta,
Che, quanto il fren stringer convenga, o sciorre
A fantasia, tacita accenna, e pronta.
     Questa Gusto si chiama, ch’in te porre
Sol può Natura, u’ l’Arte aspira invano,
U’ non giunge Ragione, ei sol soccorre.
     L’Orator guidi l’Arte, e ’l varco arcano
Mostri a Sofi Ragion, che scorge al Vero,
Ma regga i Vati il Gusto sol per mano.
     Stolto sarebbe il definir pensiero,
Quale, e quanto in noi possa, e come il Gusto;
Sentirlo è tutto, e lo spiegarlo è zero.
     Pari all’occasion su filo angusto
Ma vario sempre ei corre, è l sommo vanto
È a ciascun pel suo fil coglierlo giusto.
     Ei sol può far sentir fin dove, e quanto,
Nè più, nè men convenienza regna,
Nè può precetto alcun giungere a tanto,
     Nè già meglio l’Esempio a te l’insegna;
Mentre ciò ch’oggi Gusto a te pur detta,
In me domani egli condanna, e sdegna.
     Non tempo, e luogo, non materia eletta
A lui pon legge, o circoscrive in certo
Confin l’orma sfuggevole indiretta.