Pagina:Poemetti italiani, vol. I.djvu/19

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Ch’amano il mezzo tra il calore, el gelo.
Nè senza gran cagion travaglian sempre
Con le cime dei fior viscosi, e lenti,
E con la cera fusile, e tenace,
In turar con grand’arte ad uno ad uno
I fori, e le fessure, d’onde il Sole
Aspirar possa vapor caldi; o ’l vento
Il freddo Boreal; che l’onda indura.
Tal colla, come visco, o come pece,
O gomme di montani abeti, e pini,
Serban per munizione a questo ufficio:
Come dentr’a i Navai della gran Terra,
Fra le lacune del mar d’Adria posta,
Serban la pece la Togata Gente,
Ad uso di lor navi, e lor triremi;
Per solcar poi sicuri il mare ondoso,
Difensando la patria loro, e ’l nome
Cristiano dal barbarico furore
Del Re de’ Turchi; qual, mentre ch’io canto,
Muove le insegne sue contra l’Egitto;
Che pur or l’aspro giogo dal suo collo
Ha scosso, e l’arme di Clemente implora.
Spesso ancor l’Api, se la fama è vera,
Cavan sotterra l’ingegnose case,
O certe cavernette dentro a’ tufi,
O nell’aride pomici, o ne’ tronchi
Aspri, e corrosi delle antiche quercie.