Pagina:Poemetti italiani, vol. I.djvu/32

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Alcune, intorno al novo parto intente,
I nati figliuolin, ch’appena han moto,
Con la lingua figurano, e col seno
Gli allattan di soave ambrosia, e chiara.
Parte quei già, che fon cresciuti alquanto,
Unica speme degli aviti regni,
Menano fuori; e con l’esempio loro
Gli mostran l’acque dolci, e i paschi aprici,
E qual fuggire, è qual seguir conviensi.
Altre dappoi presaghe della fame,
Che l’orrido stridor del verno arreca,
Stipano il puro mel dentr’alle celle.
Sonovi alcune, a cui la sorte ha data
La guardia delle porte, e quivi stansi
Scambievolmente a speculare il tempo,
Nel vano immenso dell’aereo globo;
Ove si sanno, e si disfanno ogn’ora
Sereno, e nube, e bel tranquillo, e vento;
Ovvero a tor le salme, è i gravi fasci
Alleggerir di chi dal campo torna
Curvate, e chine sotto i sconci pesi.
E spesso fan di se medesime schiera,
E dai presepi lor scacciano i fuci,
Armento ignavo, e che non vuol fatica.
Così divien quell’opera fervente,
E l’odorato mel per tutto esala
Soavissimo odor di fior di timo.